Condividiamo un articolo pubblicato sulla rivista BC, incentrato sulla crescita del numero di aziende che incentivano il bike to work. Scelte che sposano le richieste dei dipendenti e trasmettono valori positivi, evidenziando anche il ruolo di Ciab.


«Le persone vengono al lavoro più felici, sono sorridenti e c’è una stretta connessione con la produttività. L’azienda così ha un vantaggio a 360 gradi». Sembra una pubblicità, non lo è. Perché le parole di Mariangela Candido, manager di Andriani, rappresentano un’impresa al vertice della classifica dedicata all’analisi del sentiment dei Blue Collar workers (pubblicata da Great Place to Work Italia). È solo l’ultimo di una serie di riconoscimenti che ne certificano il valore e la capacità di far stare bene i propri dipendenti. Con un piccolo, ma fondamentale dettaglio: la classifica, in questo caso, la fanno gli operai. In sostanza, l’azienda, considerata tra le più importanti realtà nell’innovation food, con uno stabilimento interamente dedicato alle produzioni senza glutine, è stata premiata proprio dai suoi dipendenti. E tra le attività che ne fanno un esempio da seguire c’è quella della mobilità sostenibile. Perché per lavorare bene, nel posto di lavoro ci devi arrivare bene.

«Il bike to work in azienda - spiega Candido - è stato avviato nel 2018 per dare vita a un progetto di miglioramento dell’ambiente, per la promozione del benessere psicofisico e l’abbattimento delle emissioni di Co2. Abbiamo messo a disposizione dei dipendenti cento bici a pedalata assistita e monitoriamo i tragitti casa-lavoro e tempo libero, prevedendo un premio mensile in base alla quantità di chilometri effettuati».

Comunicare i valori

Sul sito internet di Andriani vengono ciclicamente monitorati i dettagli positivi, tra km percorsi, carburante risparmiato e Co2 non emessa. «I miglioramenti sono evidenti per il benessere psicofisico del dipendente, che arriva più sveglio al lavoro e riesce a trovare una maggiore concentrazione, elimina i chili di troppo e ricava un migliore tono muscolare e una maggiore fiducia in sé stesso; ma lo sono anche per i clienti, ai quali si comunicano già valori e filosofia dell’azienda».

Una sensibilità green differente, rispetto al passato, confermata anche da Antonio Dalla Venezia, il presidente di Ciab, il Club delle Imprese Amiche della Bicicletta. «C’è un approccio diverso - spiega - si è passati dall’indifferenza verso la mobilità sostenibile e queste tematiche a una consapevolezza da parte delle aziende. Poi va detto che non tutti i contatti che abbiamo si concretizzano in adesione al circuito Ciab, ma resta un legame, un interesse e magari anche piccole azioni quotidiane che rendono l’azienda più inclusiva verso le due ruote».

Il numero di aziende aderenti a Ciab si è attestato su 135. «Una buona metà - specifica Dalla Venezia - sono società e cooperative legate al cicloturismo, il resto è variegato e abbiamo anche enti pubblici, con quattro comuni finora coinvolti». Proprio uno di questi, Follonica, appena entrato in Ciab ha voluto regalarsi quattro bici elettriche, acquistate e messe a disposizione dei dipendenti e degli agenti della polizia municipale per le proprie attività: non solo i pattugliamenti su strada, ma anche, con un programma di incentivi, il tragitto casa-lavoro.

Attrattore turistico

«E se l’esempio arriva da chi amministra la vita pubblica, il messaggio può arrivare ancor più forte alle aziende private e ai cittadini. E diventa un ulteriore attrattore a livello turistico. «Ciab è un connettore, tanti operatori possono fare rete tra loro, organizzare tour guidati, legati al mondo della bicicletta, e sostenersi a vicenda» evidenzia Davide Arrighetti di Placat, realtà bergamasca che propone ecocampeggi, noleggio e-bike nel bosco, esperienze didattiche e progettazione sostenibile. Scoprire il territorio in bici permette di coinvolgere sempre più persone attente e attratte da questo mondo.

«È un fenomeno in crescita e anche l’esperienza concreta lo dimostra: chiunque ci contatti per campeggiare o fare qualche escursione, regolarmente ci chiede la possibilità di spostarsi in bici e valuta le tappe del viaggio in base a quelle raggiungibili con le due ruote».

Divani a motore

Tutte azioni che concorrono ad alimentare quella che in termini tecnici è definita anche la brand reputation dell’azienda, in quanto orientata alla cura delle proprie risorse e dell’ambiente che la circonda. Ma di strada ce n’è tanta da fare, se sui media tradizionali compaiono ancora pubblicità come quella di una nota azienda di divani e poltrone e il suo “pieno di sconto”: ogni euro di carburante speso per arrivare nel punto vendita, era il messaggio veicolato, ne valeva 15 sull'acquisto del nuovo divano. In sostanza, l'azienda - che tra l'altro già in passato è stata sanzionata per pubblicità ingannevole - invitava, con uno spot in cui si faceva sfoggio di motori rombanti, a raggiungere il negozio più vicino in auto, prevedendo uno sconto in base al numero di chilometri percorsi. 

Un aspetto che si palesa anche nel rapporto con i dipendenti e gli incentivi ‘carburante’, che rientrano nel welfare aziendale e nei fringe benefit, i voucher erogati come beni e servizi, il cui tetto è ora salito fino a 3mila euro con il decreto “Aiuti Quater”. E così, anche in questo contesto sembra riproporsi l’annosa diatriba ciclista – automobilista. Irrimediabile fino a un certo punto, perché c’è chi, come Daniele Cuccarollo, nella sua azienda si sta facendo portavoce di una serie di iniziative per (ri)equilibrare la situazione. Nella sede della Sint, che da oltre trent'anni opera nel campo delle attività di progettazione e direzione lavori di impianti tecnici, cicca un terzo dei dipendenti utilizza la bicicletta. «Io lavoro in azienda da 11 anni - sottolinea - e sono andato in auto solo nel primissimo periodo poi ho scelto la bici. Dopo un paio di anni di ‘battaglie’ abbiamo ottenuto le rastrelliere, per evitare che si innestassero conflitti con gli automobilisti».

Benefit parcheggio

Ma è solo il primo passo per un’azienda, la cui attuale sede è in un condominio con altri professionisti. «Uno dei benefit è quello di avere un parcheggio interrato. Il nostro obiettivo è quello di commutare uno dei posti auto in uno spazio per le bici, allestendo una rastrelliera per cinque posti al coperto». E ancora: «Lo studio prevede un premio produzione in buoni carburante ma quello che vogliamo fare è trasformare questo buono in un incentivo, magari attraverso una convenzione con negozi e rivenditori di bici».

Del resto, per lui la bici è davvero una scelta di vita. In famiglia, con la compagna hanno scelto di rottamare l’auto a gasolio e prendere una bici cargo. È una scelta di vita anche quella della Aequilibria, attiva da 20 anni nel campo della consulenza aziendale sui temi green. Hanno meno di dieci dipendenti, quindi per legge non sarebbero obbligati ad avere la figura del mobility manager. Ma ce l’hanno. «Abbiamo inserito questa figura - sottolinea l’attuale mobility manager Arianna Bertoni - per restare fedeli alla nostra filosofia e per il valore simbolico che ne deriva. La cosa a cui teniamo di più è la promozione di una determinata cultura nello spostamento casa-lavoro ma, essendo consulenti, cerchiamo di portare questa visione anche negli spostamenti verso i clienti». Una delle azioni più rilevanti è stata la sostituzione di auto aziendali con bici. «Ai nostri dipendenti abbiamo fornito delle pieghevoli in modo che possano essere anche facilmente trasportabili in auto o sui mezzi pubblici. Siamo riusciti a favorire questo tipo di spostamento meno impattante e più sostenibile e in tema con la nostra filosofia. Non è comparabile il benessere fisco e mentale di un dipendente che arriva in bici rispetto a uno che resta imbottigliato nel traffico per un’ora».

Problema infrastrutture

Vantaggio economico e benessere dei dipendenti, ma c’è ancora qualche criticità. L’approccio alla mobilità sta cambiando ed è positivo ma va fatto ancora molto lavoro per cambiare la mentalità di tutti. E bisogna agire sulle infrastrutture e i servizi. È qui che può rientrare il ruolo della Ciab, come potenziale connettore.
«Il vantaggio di Ciab - spiega Dalla Venezia - è di essere un interlocutore, anzi il primo interlocutore. Ci si confronta per le attrezzature con le aziende che possono rendere più bike friendly la loro società. Ma ci sono evidenti problemi che sono indipendenti dalla loro volontà. Io posso mettere a disposizione tutto, dagli spogliatoi alle rastrelliere, dai posti bici ai mezzi per i miei dipendenti ma se poi non ho piste ciclabili o le strade sono particolarmente pericolose per chi pedala - ribadisce - la mia scommessa non è vincente perché il rischio è troppo alto».
C’è comunque chi la sfida l’ha vinta. E può essere preso a modello positivo. «È riconosciuto questo cambiamento da parte delle aziende, ma servirebbe anche l’aiuto concreto degli enti locali, ad esempio il Comune, che deve essere - sottolinea Bertoni - più sensibile al tema. Perché le aziende possono anche essere favorevoli e virtuose, ma se non ci sono le condizioni di sicurezza per i lavoratori è impossibile agire. Ma sono processi che hanno bisogno di un po’ più di tempo e pazienza e se c’è una visione, i risultati arriveranno». Partendo da un concetto semplice ma indispensabile, espresso così da Mariangela Candido di Andriani. «Facciamo bene alle persone e all’ambiente». E torniamo al punto iniziale: se lo dicono i dipendenti...

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